Nella più ampia accezione di “follia”, non di rado sinonimo di “creatività fantastica”, l’arte si è sempre ritrovata a proprio agio, ma è soprattutto con i primi studi psicanalitici e neurologici d’inizio secolo scorso che il rapporto fra disturbi psichici e arte si è fatto più intenso e consapevole. Nel corso del tempo, il confine netto fra il dato medico e l’orizzonte poetico si è via via attenuato, svaporato, liberando piani di confronto e contaminazione, la folle creatività ha cominciato a occupare la scena mostrando le sue innumerevoli maschere . ― Racconta Danilo Eccher
Le opere d’arte invadono gli spazi esterni e interni della sede espositiva, regalando un esperienza indimenticabile, senza alcun percorso ordinario, perché la follia , come l’arte, non ha limiti: come le colate di pigmento di Ian Davenport sulle scale, e di modificare la percezione spaziale, come l'ambiente di Gianni Colombo (1970). Una violenta onda d’urto che invade ogni stanza accessibile, mescolando e garantendo forti salti espressivi fra le opere, dai neon di Alfredo Jaar, visibili anche all'esterno, sino all'immersione totalizzante di Fallen Fruit /David Allen Burns e Austin Young.
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